Dati sulle Startup censite nel Registro delle Imprese
Secondo l’European Innovation Scoreboard del 2016, l’Italia si colloca, tra i paesi dell’UE, tra i moderate innovators, insieme ai paesi dell’Europa del Sud (Spagna e Portogallo). In testa alla classifica – tra i campioni di innovazione – troviamo i paesi scandinavi, Germania e Olanda.
Sono dati che non stupiscono.
Siamo abituati a pensare al nostro Paese come a un fanalino di coda dell’UE per quanto riguarda l’economia, le finanze pubbliche, lo sviluppo sociale. La stessa concezione si applica quando si parla di economia dell’innovazione. Non è del tutto uno stereotipo. In Italia le startup sono solo lo 0,4% del totale delle società di capitali. Anche gli investimenti faticano a farsi strada: nonostante nel 2016 si siano per la prima volta superati i 100 milioni di euro, siamo ancora ben dietro Francia, Germania e Inghilterra.
Il quadro, insomma, non è dei migliori, ma qualcosa si sta muovendo. Le legislazioni più recenti (dal 2012 in poi) hanno dato slancio allo sviluppo di startup innovative, che tra il 2013 e il 2016 sono aumentate di 5259 unità.
Inoltre, i dati formali non sono tutto: anche un’analisi qualitativa può essere utile a giungere ad alcune conclusioni. L’Italia potrebbe essere un laboratorio fenomenale per l’innovazione, e alcuni semi ci sono già, basta innaffiarli con gli incentivi giusti.
La Sfida dei Cluster
La struttura industriale italiana è peculiare perchè costituita da piccole e medie imprese aggregate in cluster (o distretti) industriali: realtà territoriali specializzate in una produzione specifica, in cui la possibilità di scambio tecnologico e di costruzione di economie di scala è altissima. Basti pensare al distretto biomedicale di Mirandola, che aggrega grandi e piccole imprese, fornitori specializzati e subfornitori nella medesima area geografica. Il distretto mirandolese è uno dei più importanti hub di ricerca biotech su scala mondiale, e ha vissuto una ripresa incredibile dopo il sisma del 2012, tanto che si parla addirittura di boom delle esportazioni.
Su questo filone, è interessante analizzare l’aspetto finanziario: si sta iniziando a ragionare sull’alleanza tra imprese, startup fin tech, complessi bancari tradizionali.
Le banche, sotto la pressione della concorrenza del fintech, stanno esplorando (anche se ancora con una certa cautela) la possibilità in investire in blockchain e sviluppo di moneta digitale. La Banca d’Italia non ha dato del tutto il semaforo verde, ma alcuni gruppi bancari (CheBanca e Intesa San Paolo tra gli altri) hanno dato il via a una fase esplorativa. La chiave della digital currency è la creazione di reti di fiducia, un input che si sposerebbe bene con la realtà delle PMI italiane aggregate a livello distrettuale. Una proposta del genere era stata lanciata nel 2013 con Venex, una moneta complementare utilizzabile dalle imprese venete per ridurre i costi di transazione generati dalla burocrazia bancaria.
“Il distretto mirandolese è uno dei più importanti hub di ricerca biotech su scala mondiale”
Sharing economy e innovazione sociale
Il tema dell’economia civile e dell’innovazione sociale sembra aver attecchito estremamente bene nel nostro Paese: le piattaforme di sharing economy sono cresciute del 10% tra il 2015 e il 2016. Business come la piattaforma di distribuzione a filiera corta Cortilia e il sito per organizzare cene sociali Gnammo sono esempi ormai ben conosciuti. Nonostante si parli di gift economy, perchè basata sulla condivisione di tempo o di beni materiali, i ricavi raggiungono anche cifre di notevole entità. Secondo il Sole 24 Ore, Gnammo “ha incassato un totale di 600mila euro in finanziamenti, raddoppiato gli utenti nel giro di un anno e visto i ricavi salire del 550%.” (Il riferimento è ai dati del 2015).
Altro settore in cui siamo all’avanguardia è quello della responsabilità sociale di impresa, che ci ha portato a essere l’unico paese insieme agli USA a ad avere una legge sulle cosidette b-corp (benefit corporations). Si tratta di imprese che scelgono un modello di business che generi esternalità positive per l’ambiente, i lavoratori, la comunità. Insieme al profitto, gli imprenditori perseguono anche fini etici: riprogettando i sistemi di gestione energetica, scegliendo fornitori a chilometro zero. I guadagni non ne risentono: una b-corp fattura in media 11 milioni all’anno.
La struttura produttiva italiana ha tutte le caratteristiche per poter diventare un’avanguardia di innovazione tecnologica e sociale. In questo siamo forti: creare reti di fiducia, innovare dal basso. Non esistono ricette magiche per dare ulteriore slancio al potenziale innovativo delle nostre imprese, ma esistono segnali incoraggianti che non vale la pena ignorare. Un punto di partenza sarebbe lo sviluppo di un dibattito pubblico serio sui temi della new economy: invece di dividerci in becere tifoserie opposte (come nel caso dello scontro Uber- tassisti) forse sarebbe utile parlare di innovazione in termini strategici, politici e di lungo periodo.
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